I numeri non sono giudizi, sono materiali per formulare dei giudizi.
Supponete che, da domani, se uscite ci sia il 0.1% di probabilità di morire. Questo che significa? che non si deve più uscire? e perché? Se, uscendo, io raggiungo dei miei obiettivi e valori, potrebbe valere la pena di correre quel rischio!
Non è un ragionamento accademico, è un fatto della vita. La vita è incertezza. Ogni volta che saliamo su una automobile, camminiamo per la strada, iniziamo una relazione sentimentale, apriamo un impresa, corriamo rischi terribili.
Ma, non fare nulla, sarebbe ancora peggio perché allora avremmo la certezza di sprecare la nostra vita. Come diceva il buon Francesco Guccini “le stagioni ed i sorrisi. Son denari che van spesi con dovuta proprietà”, questo perché il nostro tempo è finito e se non lo usiamo, siamo sicuri di buttarlo via. Com’era quel proverbio? Il posto più sicuro per le navi è il porto, ma non è per stare in rada che sono state costruite. Oppure, se volete un esempio religioso, pensate alla parabola dei talenti. Lo schiavo che non li mise a frutto fu severamente punito. Cioè, stare fermi non va bene. La vita ha una certa percentuale di rischio e bisogna farsene una ragione.
Facciamo un caso semplice. Supponiamo che, andando per funghi in montagna, ci sia – come effettivamente c’è – una remota probabilità di essere colpito da un fulmine. Diciamo lo 0.001% di probabilità (la probabilità esatta non ci interessa, è un esempio). E’ una probabilità sufficiente per decidere di restare a casa? Non credo.
Supponiamo che ci sia una probabilità più alta. A che punto si decide di stare in casa? chi può stabilire la soglia critica? Chi può giudicare che una percentuale è abbastanza grande per non fare qualcosa? Chi può dirlo? Nessuno. Ognuno deve decidere per sé.
Facciamo un altro caso, completamente reale. Angelina Jolie ha scoperto di avere un gene che, nella sua famiglia, le dava una elevata probabilità di sviluppare un tumore mortale. Sua madre era morta di questo tumore. Diciamo il 30%. E’ una grossa probabilità, ma non è una certezza assoluta. Lei, al momento, non aveva nulla, era perfettamente sana. Allo stato attuale della medicina aveva due possibilità:
1. La rimozione completa dei seni e delle ghiandole collegate, un’operazione invasiva con conseguenze di vario tipo e però la certezza di non sviluppare quel tumore
2. Vivere con un corpo completamente integro e rischiare quel 30% di probabilità di sviluppare un tumore mortale.
Angelina Jolie ha scelto la prima opzione. Liberissima di farlo. Ma era una scelta obbligata? No. Altre persone avrebbero potuto decidere di vivere con il rischio senza interventi chirurgici. Certo, un terzo di loro sarebbero morte, ma due terzi sarebbero vissute benissimo senza alcun intervento. Chi può costringere le persone a scegliere il principio di massima sicurezza (come qualcuno lo ha definito)?
Secondo voi, sarebbe giusto imporre la mastectomia totale a tutte le donne con il gene della Jolie? A me non sembra. E anche se lo pensante, lo pensereste anche se la percentuale fosse il 20%? o il 10%? O l’1%? Se fosse l’1% vi sembrerebbe giusto imporre a 100 donne la mastectomia perché una di loro svilupperà il tumore? e se fosse lo 0,01%? operereste 10.000 donne perché una morirà? Sembra assurdo. E allora dove tirare la linea fatidica? a quale percentuale?
E’ evidente che la risposta non è nei numeri. I numeri ci possono solo dire, con la migliore precisione possibile, la probabilità di un certo evento, ma la decisione su come agire di fronte a quell’eventualità è personale.
Si tratta della differenza tra informazione e giudizi, tra conoscenza e decisione. I numeri ci danno informazione, ma poi siamo noi che decidiamo.
Altrimenti non ci sarebbe bisogno di generali e di politici, ma basterebbero sergenti e amministratore. Generali e politici sono infatti chiamati a prendere decisioni di fronte a una realtà che non è mai completamente nota e che ha, quindi, margini di incertezza.
Quindi, dopo aver stabilito che una certa azione ha una certa probabilità di concludersi in modo negativo, c’è ancora un altro passo, che è totalmente soggettivo, ovvero stabilire quale è la probabilità per la quale una persona valuta/decide/sceglie che è sensato agire in un certo modo.
La decisione non è mai automatica, la valutazione non è il calcolo di un numero: è una scelta, libera. Che ognuno può e deve fare liberamente e personalmente.
I numeri, le percentuali, i dati forniti dai tecnici (dottori, economisti, ingegneri) ci informano, ovvero ci permettono di fare una scelta informata, cioè di scegliere a ragion veduta perché conosciamo i rischi che una certa azione avrà. Ma i tecnici non ci potranno mai dire come giudicare i loro numeri, se lo facessero non sarebbero più tecnici, ma preti, commissari ideologici, moralisti, sceriffi (non nel senso nobile del cowboy con la stella …).
Qualche ingenuo pensa che la conoscenza dei tecnici dovrebbe sostituirsi alla scelta e ai giudizi delle persone. E’ un errore logico e concettuale, spesso determinato o dalla tendenza di guardare agli altri con sospetto e disprezzo o dall’idea di appartenere a un gruppo elitario dotato di maggiore capacità di discernimento. In entrambi i casi un atteggiamento che potremmo affettuosamente definire aristocratico e più ansiosamente tacciare di protofascismo. D’altronde le tecnocrazie sono sempre state compagni di letto di totalitarismi e dittature nelle loro varie declinazioni.
Fortunatamente la conoscenza non è nemica della scelta. Come ho accennato sopra, più conoscenza uno ha e più uno decide liberamente, ma più decide quello che gli pare. Mentre meno conoscenza uno ha e meno le sue scelte corrisponderanno alle sue intenzioni. Quando Teodora è assediata dalla congiura di Nika, lei rischia la vita e pronuncia le famose parole “Il trono è un glorioso sepolcro e la porpora è il miglior sudario” che tradotto vogliono dire “sono imperatrice e preferisco rischiare la morte che perdere il trono”. Lei fece la sua scelta (e le andò bene). Oggi ci vogliono convincere che non c’è più lo spazio della scelta. Ma questa è una bugia per spingerci a essere tutti schiavi di decisioni occulte.
Come ha scritto una giovane filosofa
Se non riconosciamo che dietro ai numeri ci sono valutazioni e giudizi soggettivi, rischiamo, soprattutto quando i numeri derivano magari da fonti autorevoli, di assorbire il loro stesso metro di giudizio in modo inconsapevole.
L’uso dei numeri è spesso strumentale a imporre una decisione nascosta. Ci dicono, c’è un rischio dello 0,1% di morire di Covid, quindi è “estremamente rilevante” per la società e, di fronte al fatto, che la scienza ha dimostrato con enorme precisione che il rischio di morte è proprio lo 0.1% e non lo 0,05%, siamo chiamati a inginocchiarci e accettare ogni altra decisione. Ma il punto non è se il rischio è lo 0.1%, o lo 0.05% o un altro numero, ma quale numero, per noi e solo per noi, sia effettivamente rilevante.
Sono numeri “grandi” ci dicono, ma quando un numero è grande? Ogni anno in Italia sono attribuibili al fumo circa 80.000 persone, il doppio dei morti di Covid (finora). Forse che strappiamo la sigaretta di mano a chi fuma? No. Certo, sensibilizziamo e informiamo le persone dei rischi che corrono fumando. Poi ognuno è padrone della sua vita, ognuno è libero proprio perché può esercitare la proprietà della propria esistenza.
La confusione nasce dal pensare che la scelta sia riducibile alla determinazione del rischio. Non è così. Dopo che si è quantificato il rischio (sempre che sia possibile) si procede alla scelta. Sono due passaggi distinti.
I tecnocrati, di ogni epoca, tendono a minimizzare il ruolo della scelta e a dare l’impressione che la scelta sia già tutta contenuta nei numeri che calcolano con tanta precisione. La scelta è nella percentuale. Non è vero, la scelta non è mai nei numeri. I numeri non decidono niente. Siamo noi che giudichiamo i numeri relativamente al nostro essere e decidiamo. Il soggetto della decisione siamo noi. Non lasciamoci ingannare.