Dall’inizio della pandemia (28 Febbraio) al 6 Ottobre in Italia sono morte per Covid (prendendo per buono il criterio secondo cui di fronte a cause multiple di morte se una di queste è il covid è solo a questo che si attribuisce la morte) al di sotto dei 49 anni: 408 persone. Se si escludono quattro casi di morte infantile e si prende in considerazione solo la fascia di età tra 1 anno e 39 anni, sono morti di Covid 75 persone (https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/#box_8b). Per dare un’idea dei numeri, in Italia nel 2018 sono morte 3.334 persone per incidente di auto.
La letalità del virus al di sotto dei 39 anni è bassissima, meno di un virus influenzale. Al di sotto dei 29 anni è infinitesima. Al di sotto dei 19 è ZERO.
Se si osserva la tabella della letalità per fasce di età del Sole 24 Ore (https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/#box_8b) si vede che ci sono sostanzialmente due gruppi: le persone di meno di 55 anni e le persone di più di 55. Dato che sono tendenzialmente le prime a essere più impegnate in attività di vario genere (educativo, sportivo e lavorativo) si potrebbe pensare a una politica differenziata tra i due gruppi.
Questo non si è fatto per varie motivazioni: etiche (siamo tutti uguali), politiche (gli anziani hanno un peso elettorale più grande dei giovani), economico (gli anziani in italiani detengono un maggiore potere economico), psicologico.
Tuttavia la differenza esiste ed è statisticamente molto marcata. Chi può negarla? Trattare in modo uguale casi diversi è fare delle differenze.
Ovviamente il principio etico di distribuire in modo uguale i limiti alla libertà e i danni all’esistenza nel momento in cui il rischio non è distribuito in modo uguale sulla popolazione porta a inevitabili frizioni tra persone appartenenti a gruppi e classi diverse. Per esempio, un giovane ventenne che vede la sua attività commerciale dalle regole di contenimento potrebbe non essere d’accordo su questa equidistribuzione dei danni. In fondo lui non rischia nulla, e nemmeno i suoi giovani clienti. La risposta standard a questo tipo di obiezione è di natura etica – il benessere economico vale meno della salute (la vita prima del denaro).
Qui però non si tratta di confrontare principi etici, ma di gestire una situazione di crisi. Si tratta di trovare, in pratica, l’equilibrio che consente a tutti di avere il minor danno. A tutti.
Anche se molti hanno sostenuto che “Se il virus circola troppo non c’è modo di proteggere i fragili dai (cosiddetti) non fragili. Pensare di avere due gruppi separati con due diversi livelli di trasmissione è una fantasia”, nessuno lo ha mai dimostrato. Per tanti è un articolo di fede e non lo si è mai effettivamente dimostrato in modo empirico.
Il principio etico assoluto è sicuramente valido, ma non sostenibile a lungo termine. Consideriamo invece un approccio diverso, il principio della distribuzione proporzionale tra profilassi e rischio. E’ un nome complicato per dire una cosa semplice: chi è più a rischio deve farsi carico in modo proporzionale delle contromisure e delle eventuali limitazioni della propria libertà. L’idea è questa:
Se un gruppo identificabile di persone ha esigenze particolari si deve far carico delle limitazioni al comportamento e ai costi legati a queste esigenze.
Ovviamente questo non esclude che tutta la comunità si faccia carico di misure di solidarietà nei confronti di chi è più colpito. Ma, tanto per fare un esempio, non avrebbe senso costruire case con le norme antisisismiche più severe in aree non a rischio sismico per rispetto di chi vive sulle pendici dell’Etna.
Se in un paese c’è un immunodepresso, io capisco che la comunità paghi per lui medicine e servizi che gli permettano di vivere normalmente, non che tutta la comunità decida di chiudersi in casa per consentire a quella persona di girare senza problemi.
La stampa dà molto risalto a casi isolati di persone giovani (un 33 enne in Russia) che sarebbero morti per colpa del Covid. E se si facesse lo stesso per qualsiasi altra causa di morte? Perché non dare risalto ai morti giovani per incidente per chiedere la chiusura delle strade? Chiediamo una valutazione oggettiva del rischio per fascie di età, non una anedottica per mantenere paura e irrazionalità.
Anche da un punto di vista etico, si è ripetuto che “la libertà finisce dove inizia quella degli altri” o che “nessuno ha la libertà di contagiare gli altri”, ma nella vita reale il principio deve essere declinato relativamente alla relatività delle circostanza, in base al principio di distribuzione.
Se una minoranza di persone corre particolari rischi, non deve limitare la libertà degli altri per non voler assumere comportamenti adeguati per difendersi. Se io non ci vedo, sono io che devo mettermi gli occhiali, non chiedere agli altri automobilisti di andare a passo di lumaca.
In questo caso, ci troviamo di fronte a un caso da manuale. La popolazione è divisa in due categorie. Perché non sfruttare questa cosa per applicare il principio di distribuzione e consentire che la società viva e la parte meno a rischio aiuto quella più a rischio, invece di imporre a quella meno a rischio (i giovani) di subire gli stessi danni di quella più a rischio (gli anziani)?
Insomma, perché non fare differenze e consentire a chi è meno colpito di aiutare chi lo è di più? E’ molto meglio, ed eticamente soddisfacente, distribuire la solidarietà piuttosto che distribuire la miseria.
PS. La foto di partenza è una composizione di due immagini in circolazione su Internet. La prima è una campagna pubblicitaria del governo tedesco.