Nel 1927, in una celebre serie di lezioni, il fisico inglese Arthur Eddington, fece un esempio destinato a diventare celebre: i due tavoli. Davanti a lui, disse, non c’era un tavolo, ma due. Uno era il tavolo familiare a tutti, che si poteva usare per appoggiare piatti, posate e bottiglie. L’altro era il tavolo descritto dalle scienze fisiche: un tavolo fatto di elettroni, nuclei atomici, campi elettromagnetici. Un tavolo in gran parte fatto di vuoto.
Tavolo n.1 è quello di cui ho sempre fatto esperienza. E’ un oggetto familiare. Ha lunghezza, larghezza, è marrone, ed è solido. E’ una cosa.
Tavolo n.2. è il tavolo descritto dalla scienza. E’ qualcosa di alieno e io non lo posso vedere con i miei occhi. Questo tavolo della scienza è quasi completamente fatto di vuoto, composto di piccolissime cariche elettriche e particelle che riempiono solo una parte infinitesimale dello spazio del tavolo. […] Il tavolo n.2 non è una cosa.
Questa distinzione è diventata un luogo comune e, come tutti i luoghi comuni, ha finito con il nascondere un problema serio, sottraendolo al dubbio. Questa idea, molto ben espressa da Eddington è che la scienza ci rivelerebbe un mondo più reale di quello offerto dai sensi. Ma sarà proprio così?
In realtà Eddington ci parla di due modi diversi di essere dello stesso insieme di atomi. Il primo modo corrisponde a quello che quegli atomi fanno relativamente a un corpo umano. Il secondo modo corrisponde a quello che quegli atomi fanno relativamente ad altri oggetti, quali per esempio uno strumento per rivelare i campi magnetici o gli elettroni.
Non ci sono due tavoli in realtà, ce ne sono tantissimi, ognuno relativo a un sistema fisico diverso. Ci sarà un tavolo relativo alla gravità, uno relativo ai colori, uno relativo a uno strumento che misura il flusso degli elettroni e così via.
Il tavolo no. 1 è, in realtà, una collezione di tavoli, ovvero tutti i tavoli relativi ai corpi umani. Anche il tavolo no. 2 è, in realtà, una collezione di tavoli, questa volta relativi agli strumenti di misura che la comunità scientifica ha introdotto negli ultimi tre-quattro secoli di attività. E ci potrebbe essere un tavolo n.3 se scegliassi altri oggetti di riferimenti. E un tavolo n. 4, e così via, all’infinito.
La contrapposizione tra i due tavoli non è che un artefatto della contrapposizione tra due culture come è stata tratteggiata da P.D. James e, in gran parte, come è stata definita dal filosofo Wilfrid Sellars quando, nel 1956, ha contrapposto l’immagine manifesta con l’immagine scientifica del mondo. Da una parte il mondo come appare e dall’altra il mondo come è rivelato dalla scienza.
Una buona metafora visiva è offerta dall’illusione ottica dei due tavoli inventata dallo psicologo americano Roger Shepard nel 1990 che mostra come due tavoli apparentemente diversi non siano altro che due modi relativi dello stesso stato di cose.
L’ illusione di Shepard è appena più complicata da spiegare ma è la stessa cosa: la stessa figura può esistere in tanti modi ed è solo la credenza che uno di questo sia quello giusto a farci declassare tutti gli altri come illusioni.
Questa differenza non è soltanto un fatto filosofico, ma ha profonde conseguenze per il modo di vivere di tutti. E questa importanza è evidente nelle parole di Eddington stesso quando scrive che
é chiaro che la scienza pretende, con la sua logica, di sostenere che l’unico vero tavolo, l’unico tavolo reale, è il suo (il tavolo n.2). D’altra parte, bisogna ammettere, che la scienza non riuscirà mai a sbarazzarsi del tavolo n.1, quello di cui facciamo esperienza, una strana combinazione di mental, fisico e buon senso.
Ma Eddington sbaglia nel pensare che si siano solo due tavoli e che la scienza abbia un accesso privilegiato alla sostanza delle cose. La scienza ha un accesso che è organizzato in modo più efficiente e quindi che è operativamente migliore. Il fenomeno che è causa della reazione di uno strumento di misura non è più reale di quello che è causa di una reazione in un corpo umano. L’unica differenza è che il primo è stato inserito in un insieme di relazioni sistematicamente organizzate e quindi sfruttabili.
Non ci sono due tavoli, ma infiniti tavoli, ognuno relativo a qualcosa d’altro. Ognuno ugualmente reale.
Che l’esperienza altro non sia che l’identità mente oggetto è ciò che da sempre è risaputo nel mondo della pubblicità. Sono costoro infatti che attraverso il sub-liminale cui talvolta ricorrono ad aver perfettamente compreso il meccanismo. Ti porto un rapido esempio che mi ha colpito nei giorni scorsi. Mia moglie era sintonizzata sul secondo canale della RAI e seguiva una trasmissione “bond” di quelle che infestano il pomeriggio dei pensionati dal titolo “Detto Fatto”, condotta da tal Guaccero. Il titolo di tale programma appariva scritto sullo sfondo dello studio. Fui colpito dallo stile dei caratteri usati che lì per lì non riconobbi immediatamente. Solo dopo, un flash mi suggerì che quei segni svolazzanti fossero quelli della Coca Cola. Ma guarda un po’!